Autore: Raffaella Loprete
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16 feb, 2022
Avrete certamente sentito queste due parole costantemente presenti sui blog dedicati ad Android e iPhone. Oggi, scopriamo insieme di cosa si tratta e quali rischi e benefici queste due pratiche possano determinare per l’utilizzatore dello smartphone. Partiamo dal rooting dei dispositivi Android. Per capire di cosa si tratta è bene fare una premessa: Android è un sistema operativo basato su kernel Linux. In ambienti Linux, l’amministratore di sistema è un utente chiamato “root”. Il sistema operativo Android, per ragioni di sicurezza non permette all’utilizzatore di eseguire determinate operazioni, in pratica l’utente non ha i privilegi di amministratore. Il rooting è l’operazione che permette all’utente di ottenere i privilegi di amministratore di sistema (diventare “root” appunto) e quindi di poter eseguire operazioni sullo smartphone, normalmente impossibili. Tra le varie attività che si possono fare, una volta ottenuti i privilegi di amministratore troviamo: Disinstallare qualsiasi applicativo presente sul telefono Ogni casa produttrice infatti preinstalla sugli smartphone una serie di programmi proprietari (il browser, la galleria, il widget del meteo o delle news ecc.) detti anche bloatware perché accusati (spesso con ragione) di consumare batteria e preziose risorse del nostro smartphone, senza poter essere disabilitati Aggiornare il proprio sistema a versioni successive o installare una Custom ROM Un’altra possibilità è quella di poter aggiornare il proprio sistema a una versione più recente. Per gli utenti più smaliziati, però, il vero obiettivo è quello di poter cambiare la ROM cioè caricare una versione modificata del sistema operativo (che rimane comunque Android). Una ROM diversa permette di personalizzare il proprio smartphone ad esempio utilizzando un’interfaccia spartana, per aumentare la durata della batteria, o avere a disposizione caratteristiche particolari non presenti nella versione Android originale. In realtà con il pieno controllo del sistema operativo, si può fare praticamente tutto: dal modificare l’IMEI del dispositivo al tracciare e bloccare le connessioni di rete, fino a modificare alcuni parametri della CPU e della GPU del dispositivo. Passiamo ora al jailbreaking , pratica riservata ai possessori del melafonino. Apple ha preso spunto per iOS (così si chiama il sistema a bordo degli iPhone), da BSD, un sistema operativo di tipo UNIX. Qui la filosofia è diversa, si è deciso di blindare l’iPhone consentendo di installare solo applicazioni ufficiali tramite l’ App Store. Questa grande differenza rispetto ad Android, lo rende sicuramente meno vulnerabile, in quanto le app sullo store di Apple vengono verificate ed approvate, prima di essere rese scaricabili dagli utenti. Anche il jailbreaking, come il rooting esegue una “privilege escalation” ma le differenze sono parecchie sia dal punto di vista tecnico che teorico. L’iPhone infatti nasce con molte più restrizioni “by design”: ad esempio non è possibile utilizzare un browser o un client di posta diversi da quelli predefiniti. In pratica, quello che l’utente Apple normalmente vuole ottenere con il jailbreaking (installare applicazioni al di fuori dell’App Store) l’utente Android lo può fare fin da subito, senza restrizioni. Mentre il rooting di Android permette sostanzialmente di avere il controllo completo del sistema operativo, il jailbreaking è solo la rimozione di alcune restrizioni presenti nel software. C’è però una caratteristica che rende simili queste due tecniche: i rischi legati alla sicurezza che introducono nei dispositivi. Nel caso del rooting, il problema nasce dal fatto che, come dice Spider man “da un grande potere deriva una grande responsabilità”. Avere controllo totale senza conoscere a fondo il sistema operativo, può portare l’utente a danneggiarlo irreparabilmente. Inoltre qualsiasi applicazione malevola, potrà uscire dal suo ambiente protetto ed accedere ai file di sistema, a tutti i dati presenti sul telefono e le conseguenze possono essere pesanti. Una delle prime azioni che diversi malware per Android eseguono, è infatti quella di provare ad ottenere i privilegi di root. Se sullo smartphone è stato effettuato il rooting, il malware sarà in grado di rubare password, cancellare file di sistema e addirittura modificare il firmware in modo che, anche effettuando un ripristino alle impostazioni di fabbrica, il telefono sarà già infetto al primo avvio. Per quanto riguarda il Jailbreaking, il problema principale è che questa modifica disabilita la sandbox (l’ambiente protetto all’interno del quale girano le applicazioni) di iOS rendendo quindi il sistema operativo e i dati degli utenti estremamente vulnerabili ad attacchi di malware e trojan. La sandbox infatti, è la difesa principale di iOS che blocca l’accesso ad alcuni dati e ai file di sistema (inoltre facendo girare le app in un ambiente protetto, si rende più difficile il verificarsi di crash). Il fatto è che iOS, non mette in conto che le app possano girare con i privilegi di amministratore e per questa ragione, una volta che il dispositivo è “jailbroken”, le misure di sicurezza praticamente non esistono. La maggiore sicurezza che Apple garantisce ai suoi utenti (limitando la possibilità di installare un’app malevola), scompare immediatamente una volta effettuato il jailbreaking, e il dispositivo iOS diventa un facile bersaglio per qualsiasi trojan o malware che voglia approfittarne. Per concludere, un consiglio che ci sentiamo di darvi è di non effettuare il rooting o il jailbreaking dei vostri dispositivi, a meno che non siate pienamente consapevoli di ciò che fate, e conosciate a fondo il sistema operativo del vostro smartphone.